News 27 Marzo 2019

Trapianto in uomo con metastasi inoperabili
Il professor Cillo ospite in tv a TG2 Medicina 33

Padova: un eccezionale trapianto di fegato salva la vita ad un paziente con metastasi dichiarate inoperabili. L’intervento è stato eseguito dal team della Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici di Padova, diretto dal professor Umberto Cillo.

Leggi qui l’articolo pubblicato da Epateam.org

La trasmissione TG2 Medicina 33 torna ad occuparsi del ‘caso’ inserendo la notizia come argomento centrale della puntata andata in onda mercoledì 27 marzo.

L’incontro tra il curatore del programma TG2 Medicina 33, Stefano Marroni, e il professor Umberto Cillo nasce  in occasione dell’evento pubblico di Epateam, dal titolo “Il trapianto si racconta”, ospitato dall’Hotel Metropole di Roma lo scorso 21 febbraio.

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Professor Cillo, l’intervento è stato eseguito su un uomo colpito da tumore metastatico da carcinoma colorettale e che non aveva sufficiente tessuto sano nel fegato, giusto?

“Sì, le metastasi da tumore del colon retto sono un problema di sanità nazionale rilevante. Se il paziente non è operabile perché tutti i segmenti del fegato sono coinvolti, l’unica possibilità è affidarsi alla chemioterapia o in alterativa sostituire l’organo con del tessuto sano. Per fare questo, c’è però bisogno di donazioni: e anche se la donazione da cadavere è cresciuta negli ultimi 5 anni non è sufficiente nel garantire il trapianto per tutti i pazienti in lista. E dall’altro canto, la donazione di fegato da vivente non è mai realmente decollata in Italia”.

Perché secondo lei?

“Il donatore deve donare il 60-70% del suo fegato e, mi creda, sono pochissime le famiglie che accettano l’impegno: il rischio non è proprio zero. La novità vera dell’intervento sta nell’aver utilizzato solo il 20% del fegato del donatore, il cognato: un frammento piccolissimo che di per sé non è sufficiente a sostenere la vita”.

Come si è svolto l’intervento?

“Abbiamo fatto spazio nella cavità addominale del ricevente; tolto metà del fegato ammalato; prelevato il piccolo frammento di fegato dal donatore e attraverso l’adozione di tecniche molto complesse (l’intervento è durato 15 ore, ndr) il frammento è stato impiantato a fianco del fegato malato rimanente. Lo abbiamo messo a fianco dell’organo malato per permettergli di crescere nel più breve tempo possibile – grazie alla spinta legata alla rigenerazione epatica – e diventare sufficiente a sostenere la vita. Con l’impiego di metodiche pro-rigenerative nell’arco di 15 giorni, e ciò ha davvero dell’incredibile, quel frammento è oltre che raddoppiato di volume. Fino a raggiungere una quantità di fegato sufficiente a sostenere la vita. Infine, e questo sì per la prima volta al mondo, si è asportata l’ultima parte di fegato malato in laparoscopia. Un trapianto alla fine, seppur effettuato in due tempi”.

Non c’era il pericolo che il ‘pezzetto’ di fegato sano fosse poi ‘metastatizzato” dalla malattia?

“È la cosa più intuitiva. Ed è vero, il pericolo c’è potenzialmente. In realtà sono due circolazioni diverse ed è più facile che si verifichino delle metastasi al polmone che non al pezzetto di fegato trapiantato poiché sono in parallelo tra loro. Tuttavia sono solo 6 i casi simili al nostro eseguiti al mondo e pertanto dobbiamo attendere un follow-up più lungo”.

È un intervento proponibile in altri casi analoghi?

“È un intervento pilota. È assolutamente pionieristico. Ma io credo che se si confermerà la fattibilità – e abbiamo dimostrato che è fattibile – sarà una grande prospettiva per i pazienti con metastasi da tumore del colon. Stiamo attendendo i risultati definitivi degli studi internazionali sulla malattia, ma se si confermerà che il trapianto di fegato è un’opzione, una ‘fetta’ rilevante di pazienti entrerà nel sistema e richiederà trapianti ed organi. Questa tecnica potrà favorire una migliore risposta a questa richiesta di salute”.

Per il donatore è un intervento molto impegnativo?

“Lo è enormemente meno dell’asportazione del 60% del fegato. Il rischio per la vita è praticamente trascurabile. Il paziente è andato a casa in settima giornata. Ha ripreso a lavorare in 10 giorni. Ma la cosa più bella è che a 30-35 giorni il suo fegato si è completamente rigenerato. Quindi ha avuto una restitutio ad integrum nel giro di 4 settimane”.

Non serve una compatibilità tra donatore e ricevente?

“Sì, ed è una compatibilità molto semplice: quella del gruppo sanguigno. Esattamente come fare una trasfusione. Il fegato è estremamente generoso da questo punto di vista”.

(Fonte: TG2 Medicina 33 – Intervista di Laura Berti – Programma a cura di Stefano Marroni – Puntata del 27 marzo 2019).