Focus 09 Aprile 2021

Un fegato salva la vita a due pazienti. A Milano una maratona di 18 ore per il “trapianto domino”

L’espressione è “trapianto domino”. Si verifica quando un paziente necessita di un trapianto di fegato, ma il suo stesso fegato potrebbe fornire nuova possibilità di vita a un’altra persona. È quello che è successo nei giorni scorsi al Policlinico di Milano dove due pazienti sono stati dimessi dopo che, la generosità dei donatori, ha permesso loro di iniziare un nuovo percorso.

Il primo, un giovane di 27 anni, è affetto da leucinosi. Si tratta di una malattia genetica rara provocata dalla completa mancanza di un enzima fondamentale per metabolizzare gli aminoacidi con il cibo. Senza questo enzima, che è prodotto dal fegato, ma anche in tutto il resto dell’organismo, il ragazzo è costretto a diete strettissime ed è costantemente esposto a complicanze gravi, come compromissioni neurologiche e respiratorie. Per la leucinosi è da sempre seguito da Francesca Menni, referente per le malattie metaboliche della Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico di Milano. Ma per guarire ha bisogno di un trapianto, perché la sostituzione del suo fegato correggerebbe il difetto metabolico e gli permetterebbe di tornare a una vita normale. Tuttavia, il suo di organo è sano: gli manca soltanto quell’enzima e in un altro paziente senza leucinosi non darebbe problemi perché il suo organismo lo produrrebbe senza difficoltà.

“Il giovane era in lista per il trapianto – racconta Giorgio Rossi, direttore di Chirurgia Generale e Trapianti di Fegato del Policlinico di Milano e professore di Chirurgia all’Università degli Studi di Milano – ma questo significava dover attendere che una persona sana morisse e diventasse donatrice. Lui aveva capito che poteva fare la sua parte e da subito ha manifestato con forza la volontà di diventare a sua volta un donatore e salvare la vita a qualcuno. Una disponibilità ancora più importante, dato che il suo gruppo sanguigno B è raro e di donatori come lui non ce ne sono tanti”.

Il 17 marzo viene individuato un fegato compatibile e la macchina del Policlinico si mette in moto. Alle 6 del mattino si aprono le sale operatorie per fare tre interventi uno di seguito all’altro: prelevare il fegato dal giovane, trapiantare il fegato nuovo e allo stesso tempo trapiantare il suo su quello di un altro paziente in lista d’attesa per un organo. Un solo fegato donato che salva così due vite.

Saranno necessarie oltre 18 ore per completare tutti gli interventi: all’una di notte del 18 marzo l’equipe coordinata dal professor Rossi termina la sua maratona chirurgica: “Tutto si è svolto senza alcun intoppo nonostante la pandemia da Covid e tutte le complicazioni che ne conseguono. Nelle sale operatorie – commenta Ezio Belleri, direttore generale del Policlinico di Milano – sono stati coinvolti oltre 40 professionisti, con l’appoggio dell’intero ospedale: non si può realizzare un risultato del genere senza un’organizzazione capace di coordinare numerose unità operative tra loro e in completo raccordo con le strutture regionali e nazionali. Sapere che questa è stata una storia a lieto fine è il migliore ringraziamento per l’impegno che mettiamo in campo ogni giorno per i nostri pazienti”.

Oggi i due sono a casa dopo gli interventi perfettamente riusciti. Ma, a ridosso della Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti gli esperti sottolineano una realtà fondamentale: senza donatori nessun trapianto è possibile. Anche per questo, e per tutte le storie a lieto fine, è importante diffondere sempre più il messaggio che la donazione è vita.