Focus 08 Giugno 2021

Il trapianto di fegato gli salva la vita: il donatore vivente è suo nipote. La storia che arriva da Seattle

Ha deciso di compiere un gesto straordinario per salvare la vita a un paziente d’eccezione: suo zio. Protagonisti di questa storia che arriva da Seattle sono Doug Post, 23enne di Arlington in Virginia, e Tim Seafler, 54enne di Eagle River in Alaska. Il giovane ha donato parte del suo fegato per consentire all’equipe della University of Washington School of Medicine di effettuare il trapianto su suo zio, diventato il primo paziente originario dell’Alaska a sottoporsi a un intervento di questo tipo nella struttura americana.

Doug Post insieme a suo zio, Tim Seafler

Doug vola due volte fino a Seattle: la prima per sottoporsi ai test di rito e la seconda per entrare lui in sala operatoria e farsi asportare un lobo del fegato per poi donarlo: “Ero preoccupato di chiedere a chiunque di donare un organo – racconta Tim –  soprattutto a un nipote. Anche se mi sono fidato dei medici per la mia vita, avevo ancora paura per lui: voglio dire, è mio nipote, ma sono rimasto sorpreso che abbia deciso di assumersi una tale responsabilità per dare un’occasione a me. Se sono ancora qui è solo grazie a lui“.

Lui che, come riporta il sito dell’università, oltre a essere consapevole del significato della sua scelta, minimizza gli eccessivi elogi: “Più leggo notizie riguardanti i donatori viventi, più mi sembra che le possibilità di gravi complicazioni siano davvero basse – racconta – Mi sono reso conto che il trapianto era l’unico modo in cui mio zio avrebbe potuto continuare a vivere: a me è costato solo uno stop di due settimane dagli impegni quotidiani e un allontanamento dall’alcol per tre mesi. Nulla in confronto a cosa sarebbe potuto accadere se non avessi compiuto quella che, secondo me, è sempre stata l’unica cosa giusta da fare“.

Il dottor Mark Sturdevant 

A ribadire il valore di questa scelta ci ha pensato anche Mark Sturdevant, il chirurgo che ha operato suo zio: “Gli ha salvato la vita, in quanto Seafler aveva scarse possibilità di poter ricevere un organo da un donatore deceduto, per due motivi in particolare: il punteggio MELD (il calcolo dei fattori che determinano il posizionamento nella lista d’attesa per il trapianto di fegato, ndr) non sarebbe bastato a qualificarlo per un donatore deceduto o almeno fino a quando i suoi valori non lo avessero reso così fragile da impedirgli di partire per Seattle. Inoltre, vivere in Alaska, gli avrebbe precluso la possibilità di ricevere un organo nel caso in cui, per una ragione qualsiasi, non fosse potuto andare al suo ricevente prioritario“.

Seafler, oltre 10 anni fa, si era visto diagnosticare una steatosi epatica non alcolica (NAFLD) che, progressivamente, lo ha portato fino all’insufficienza epatica nel marzo 2020. La malattia, con il trascorrere del tempo, gli aveva reso complicato anche semplicemente tenere una conversazione: “Il trapianto mi ha cambiato – conclude – già al primo risveglio ho percepito più padronanza di me, mi sono sentito più concentrato”.

In base ai dati della US Organ Procurement and Transplant Network, i chirurghi della University of Washington School of Medicine, con 13 trapianti di fegato da donatori viventi, sono stati quelli ad aver effettuato più interventi di questo tipo di qualsiasi altro centro del Nord-Ovest del Pacifico.