Focus 06 Aprile 2020

Cinque anni dopo il trapianto supera il Coronavirus
A Bergamo la storia a lieto fine di Tiziana Negri

di Emiliano Magistri

Si chiama malattia di Caroli. È una malattia rara congenita che colpisce le vie biliari, con dilatazioni dei dotti intraepatici ed extraepatici. Il 12 aprile saranno cinque anni esatti dal trapianto di fegato a cui si è sottoposta nel 2015 a seguito di questa patologia. “Il mio secondo compleanno”, come lo definisce lei stessa. Lei che, di sfida, ne ha dovuta affrontare un’altra, inaspettata, nelle ultime settimane: il Coronavirus. E l’ha vinta. Anche questa.

Lei è Tiziana Negri, una gastroenterologa, ora in pensione. Vive in quella che, ancora oggi, è la città che più di ogni altra sta pagando il prezzo di questa pandemia: Bergamo. Ha un marito dal quale è riuscita a tornare, non dimenticando la difficoltà e la paura di quei giorni di ricovero all’ospedale Papa Giovanni XXIII: una struttura che, come racconta lei stessa, “non è più quella che conoscevo, è diventata un ospedale da campo”.

Tiziana Negri

Tutto inizia ai primi di marzo. “Ho cominciato ad avere febbre molto alta – racconta – ma sono rimasta a casa seguendo le disposizioni, visto che non accusavo problemi respiratori. Poi la situazione si è complicata, avevo una saturazione dell’ossigeno nel sangue troppo bassa e quindi sono dovuta andare al pronto soccorso”. Tampone e radiografia danno la diagnosi temuta: polmonite interstiziale da Covid-19. In un giorno di pronto soccorso, Tiziana vede una realtà che fino a quel momento non immaginava nemmeno: “Una struttura completamente ribaltata dall’emergenza, un luogo che conoscevo molto bene visto che il trapianto lo avevo effettuato lì, ma non c’era paragone. Non riconoscevo più nulla. Ho passato quattro giorni con la mascherina per favorire la ventilazione, poi grazie alle terapie antivirali e agli antibiotici la febbre è scesa e mi hanno potuto trasferire nel reparto di Medicina insieme ad altri pazienti che erano risultati positivi come me”.

La paura è stata tanta, soprattutto per la sua situazione pregressa. In quanto paziente trapiantata e immunodepressa, la dottoressa era ovviamente più a rischio rispetto ad altre persone ricoverate: “Devo essere sincera, ho temuto di non farcela. Ogni giorno c’erano tre o quattro decessi intorno a me, è stata un’esperienza bruttissima”. Vissuta, oltretutto, senza la possibilità di avere gli affetti accanto: “Ho salutato mio marito quando sono entrata al pronto soccorso, poi ci ho solo parlato per telefono quando riuscivo a respirare un po’ di più, altrimenti era troppo complicato”.

Dopo nove giorni, però, il tanto sperato ritorno a casa. L’aver contratto il coronavirus non ha tolto a Tiziana la fiducia: “La mia storia personale dimostra che si può guarire – racconta – ma allo stesso tempo è importante restare a casa. So che è difficile, ma bisogna rendersi conto che se si sta bene in salute e si è costretti a non uscire non ci si deve lamentare, perché poi quello a cui si va incontro è troppo pericoloso”.